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Creatività e downshift: intervista con Simone Perotti

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Simone Perotti è una persona acuta, vivace, passionale. Dopo quasi vent’anni di lavoro come manager nel settore della comunicazione, ai vertici di aziende nazionali e internazionali, ha scelto, qualche anno fa, un drastico cambio di rotta. Ha pianificato, con lucidità e scaltrezza, un cambiamento radicale che lo ha portato, oggi, a dedicarsi interamente alle sue grandi passioni: scrivere e navigare a vela.

L’ho incontrato ad Ancona, a fine marzo, in occasione di una conferenza sul Downshift, un “diverso” approccio alla vita che prevede di “scalare una marcia”, di ridurre il tempo e le energie dedicate al lavoro, di ridimensionare il proprio stile di vita (consumare meno e meglio) per avere più tempo da dedicare  ai propri interessi, agli amici, alla famiglia e al relax.

Simone, nel suo intervento, ha presentato il suo approccio alle tematiche del cambiamento e, soprattutto, la sua esperienza di vita degli ultimi cinque anni. “Il cambiamento” – ci racconta – “fa parte dell’avventura della vita. Io ho cambiato tutto perché volevo vivere altre vite, non perché non mi piacesse la mia. Era già bella, ma adesso è meravigliosa. Mi godo il tempo, tornato lento, tornato mio. Quando morirò, che sia domani o tra chissà quanto, nessuno potrà dire che non ho vissuto tutto fino all’ultima goccia. Soprattutto, questo dubbio, questo rimpianto, non ce l’avrò io”.

Dopo la conferenza siamo stati a cena insieme e, davanti ad un gustoso piatto di pesce, abbiamo chiacchierato piacevolmente, insieme ad altri amici, di passioni, di cibo, di letture e, ovviamente, di creatività.

Simone cosa intravedi all’orizzonte per questo nuovo anno e (profezie Maya permettendo) per quelli a venire?

Credo che il sistema sia fallito. La promessa del benessere non è stata mantenuta. Ci hanno sempre detto che studiando avremmo conseguito una laurea che ci avrebbe aperto le porte del lavoro, che avremmo avuto disponibilità sempre maggiori, che avremmo potuto espandere i nostri consumi e il nostro benessere senza limiti. Ad una certa età, poi, avremmo avuto tutti una pensione che ci avrebbe consentito di vivere felici, sereni e benestanti per il resto della vita. Vedo, però, che diverse persone, le più sveglie, non credono più a questa falsa promessa, che stanno ideando e realizzando nuovi progetti. Buon per loro. Io sono uno di questi, partito per caso un po’ prima degli altri.

Dopo la crisi o il fallimento dell’attuale sistema, cosa pensi che possa accadere all’economia, alla società, al lavoro?

Come ogni cambiamento porterà sconcerto, paure, ritardi, disorganizzazione. Ma meglio faticare nella direzione di qualcosa di nuovo che schiavi in un sistema immutabile. Il sistema attuale, d’altra parte, funziona solo se ci sono enormi sacche di povertà da sfruttare. In un nuovo contesto socioeconomico basato su risparmio e sobrietà avremmo tali e tante efficienze da minori sprechi che credo potremmo vivere abbastanza per poterci riorganizzare. Che paura dovremmo avere, allora, del cambiamento? Basta smettere di sprecare in cose inessenziali e il budget della nostra vita precipita sotto i mille euro al mese. Abbondantemente sotto… I margini sono enormi. Il problema è la cultura del cambiamento, che è lenta a venire, come tutte le culture.

La creatività può essere d’aiuto per fronteggiare questa situazione?

Un tempo c’erano gli intellettuali. Pensavano, studiavano, scorgevano nuove prospettive, delineavano dei cambiamenti e li diffondevano. Penso a Italo Calvino, a Pier Paolo Pasolini e a tanti altri. Oggi, per la prima volta, non vedo più intellettuali capaci di leggere ed interpretare la complessità della realtà attuale. Da alcuni anni, per la verità, stanno mancando la loro missione storica. In questo contesto l’unica via è rimboccarsi le maniche individualmente e agire. La creatività è l’arma principale per farlo, anche se non l’unica. Un individuo che debba cavarsela ha bisogno di farsi venire delle idee. Idee concrete, che funzionino, da mettere in pratica rapidamente, anche da solo.

Queste idee, secondo te, vengono generate e realizzate in tutta “solitudine”?

Bisogna distinguere tra solitudine e isolamento. Un uomo che sta da solo, che cerca dentro di sé, non è isolato. Studia, legge, parla al telefono, va su internet. E’ tutto fuorché isolato. Mentre chi sta in mezzo agli altri è spesso solo, per di più vive nel rumore, non ha mai tempo per cercare dentro. Le cose che non capiamo a volte basta capovolgerle, per vederle.

Che cos’è per te la creatività? E in quali circostanze ti vengono le migliori idee?

Io faccio lo scrittore, invento storie che siano false ma, proprio per quello forse, sappiano parlare a molti della loro realtà. La creatività è la sorella, l’amante, la compagna costante delle mie lunghe giornate a scrivere. Ma è anche il risultato del mio dialogo interiore. Senza troppo frastuono, riflettendo, pensando, vivendo, parlo continuamente con me stesso, e l’altro che sono io mi risponde. E’ in questo minimo team fatto di varie identità che la creatività si esprime. La gente poco creativa non ha meno sinapsi, è solo muta con se stessa. Le migliori idee, forse, vengono mentre stiamo facendo qualcos’altro: mentre cuciniamo, mentre navighiamo, mentre ci rilassiamo e lasciamo vagare la mente …

Quali sono, nella tua esperienza, i principali ostacoli nel rendere più innovativo un gruppo o un’organizzazione?

Io non credo nei gruppi, nelle aziende, nelle organizzazioni. L’uomo messo in gruppo smette di esprimersi, perché deve tener conto di mille variabili interpersonali, sociali, politiche, di gruppo appunto. Nelle organizzazioni, centrate sul modello americano, il gruppo serve per far girare le macchine, per mandare avanti le cose quando tanta gente deve coesistere e i servizi sono complessi. E’ un sistema perfetto per l’organizzazione, ma per la creatività è una tomba. Il gruppo è un luogo dove le persone che hanno fatto strada dovrebbero venire per portare la loro esperienza, non luoghi dove gente debole, senza idee, va a prenderne.

Eppure l’uomo fin dalla preistoria si è riunito in gruppi … davvero nella tua esperienza non hai mai visto un gruppo generare idee innovative?

Poche volte, forse quasi mai. E comunque meno di quello che, sono certo, avrebbero potuto fare le persone da sole, credendoci, concentrandosi. Bisogna distinguere tra organizzazione e ideazione. Per l’organizzazione serve il gruppo, servono ruoli, coordinamento. Per l’ideazione serve la creatività, che quasi mai è generata dallo scambio. Lo scambio serve, semmai, per affinare le idee, per associarle.

Quali consigli daresti ad un ragazzo o ad una ragazza per realizzarsi nel mondo del lavoro?

Primo: non farsi assumere, per nessuna ragione: finirebbe per adeguarsi al modo di pensare e di funzionare dell’organizzazione. Secondo: seguire solo ed unicamente le proprie propensioni. Il mercato non ha idea di cosa serva, di cosa farci con noi, dunque dare retta al sistema del lavoro è un suicidio. Prima se volevi fare il pittore ti convincevi che per trovare lavoro dovevi studiare economia. Oggi se fai il pittore, probabilmente, hai più chance di sbarcare il lunario di un economista. Terzo: mettere passione in quello che fa, in questo modo può imparare molto e diventare davvero bravo nel suo campo; Quarto: non diventare succube del controllo e della frenesia, di tanto in tanto, per liberare la creatività, è utile lasciarsi andare: cantare, dipingere, inebriarsi di vento, di vino, di poesia e di musica, perché, come sosteneva George Gordon Byron, “il meglio della vita è l’ebbrezza!”

Quali potrebbero essere gli ambiti, le modalità e le progettualità che potrebbero creare “spazi di lavoro” funzionali, sostenibili, stimolanti (e magari divertenti)?

Discorso lunghissimo da fare, questo. Sicuramente inventare modalità e strumenti che consentano di sfruttare energie rinnovabili e ri-trovare un’armonia con la natura. Diciamo che se un uomo smette di applicare, di recitare un copione, si apre un mondo di energia, di avventura. La sua vita terminerà comunque a novant’anni, ma nel frattempo avrà tempo e energia per fare qualunque cosa. Se avessero detto a un uomo del Medioevo che avremmo volato non ci avrebbe creduto. Chissà in questo momento a quante cose possibili non stiamo credendo …

A proposito di progettualità, nelle ultime pagine del tuo libro “Adesso basta” proponi un’idea simpatica …

E’ una proposta creativa per risolvere alcuni problemi (solitudine, scarsa autonomia, pensione inadeguata, ecc.) che incontreranno, tra non molti anni, i baby-boomers  che sono single. Si tratta di realizzare un luogo in cui predisporre (magari ristrutturando un vecchio casale) una serie di mini appartamenti accessoriati e cablati, un grande salone, una cucina molto grande, tutto circondato da orto e giardini.  Le persone mettono in comune pentole, tavoli, libri, film, e soprattutto condividono idee.  Possono alternare momenti di tranquillità e solitudine ad attività comuni: organizzare eventi, invitare persone a parlare, ma anche costruire una falegnameria o un laboratorio in cui divertirsi e creare cose utili.

Bene Simone, grazie per la piacevole chiacchierata, in bocca al lupo per tutte le tue attività, buon downshift e … buon vento!

Grazie a te, e a voi, per la compagnia e la simpatia. Se vi andasse di fare un giro in barca … sapete dove trovarmi.

4 commenti su “Creatività e downshift: intervista con Simone Perotti

  1. Stefania

    Niente capita per caso!!! Questo articolo arriva proprio in un momento di riflessione personale sull’importanza di vivere la vita pienamente, sarebbe bello poter svolgere un lavoro che sia anche una passione, un’attitudine naturale e piacevole, ma i dubbi accompagnano i pensieri:
    Quale sono effettivamente le mie attitudini? Cosa mi viene naturale fare e mi piace particolarmente? E sopratutto potrebbe darmi la possibilità di vivere e economicamente bene? Non dico arricchirsi, ma andare avanti bene per poter sostenere anche una famiglia…

  2. Osvaldo Danzi

    La mia impressione è che Simone sia l’iniziatore di un modello che piace molto, ma che tendenzialmente ognuno crede sia irraggiungibile. Eppure è molto più naturale quello che propone Simone rispetto a mille ore mese passate davanti al Blackberry, o a incontrare persone che non ti stimolano o a passare giornate con colleghi che non hai scelto e che ti devi sorbire per convenienza.

    A mio giudizio bisogna provarci; d’altra parte non c’è persona che ultimamente, di fronte ad un bicchiere di birra a fine giornata non si dica insoddisfatta di come il business sia diventato sterile, di come le soddisfazioni professionali sono diminuite e di come sarebbe bello avere più tempo per sè e trasformare, magari, le passioni in lavoro.

  3. Kira

    Bravo Giovanni: sempre sul pezzo e sempre spunti interessanti…
    La mia latitanza agli eventi la dice lunga sul mio downshifting;-)

    Un abbraccio, a presto rivederci!
    Kira

  4. Giovanni Lucarelli Autore articolo

    @ Stefania
    Il lavoro occupa buona parte delle nostre giornate, è importante interrogarci su ciò che ci piace e, compatibilmente con la realtà che ci troviamo a vivere, desiderare di migliorare la qualità della nostra vita

    @ Kira
    Dedicare tempo a propri figli, soprattutto quando sono piccoli, è il più bell’esempio di downshift 😉

    @ Osvaldo
    La storia di Simone è solo uno dei possibili modi per cambiare in meglio la propria vita professionale e personale; concordo con te che l’importante sia provare a fare qualcosa, di piccolo o di grande, per trasformare le proprie passioni in lavoro

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