Ti è mai capitato, nel tuo lavoro, di sentire ripetere sempre le solite frasi?
Qualcosa tipo: “La creatività non si può imparare: o sei creativo o non lo sei”, “Il cliente ha sempre ragione”,“Il successo alimenta il successo”, “Per fare soldi serve avere i soldi”, “Bisogna imparare ad essere multitasking”, ecc.
Possiamo chiamarle in tanti modi: “assiomi”, “miti”, “vecchie regole”, “vacche sacre”, ma il concetto non cambia: sono punti di vista consolidati e, ormai, superati.
E’ opportuno cominciare a mettere in discussione queste “vecchie regole”, non con l’obiettivo
di apparire originali e “unconventional”, ma per abbandonare approcci sorpassati, non più adatti a descrivere la realtà che viviamo oggi.
Seguire questi assiomi, infatti, non agevola la nostra creatività e, soprattutto, non apre la strada verso il successo.
Marcus Buckingham, docente presso il Leadership Institute della Gallup (nota società
di consulenza), ha svolto, insieme al collega Curt Coffman, un’interessante ricerca su queste tematiche. Hanno intervistato oltre 80.000 manager e quasi un milione di dipendenti appartenenti a numerose aziende operanti in settori e in paesi diversi.
Tra gli elementi emersi risulta che ciò che caratterizza i manager di successo è la loro capacità di infrangere le regole del comune “buon senso”. Queste persone brillanti sono solite impiegare schemi di pensiero e di comportamento innovativi. Non a caso il libro che raccoglie i risultati di questo studio è intitolato “Primo: rompere le regole”.
Le più alte espressioni di creatività, in effetti, sono state generate da persone che sono riuscite a superare i “vecchi assiomi” del proprio settore (arte, scienza, moda, business, ecc.) e a vedere le cose sotto una nuova luce.
“Non bisogna mai aver paura di rompere le regole” – afferma il compositore Giovanni Allevi – “mai temere di destabilizzare un sistema: è nella sua natura la necessità di cambiare. Ma
soprattutto bisogna sempre trovare il coraggio di esporsi, di osare, di mettersi in gioco”.
Beau Fraser, David Bernstein e Bill Schwab, nel loro libro “A morte le vacche sacre”, elencano diverse “vecchie regole” da abbandonare: vediamone alcune.
“Il cliente ha sempre ragione”
L’affermazione è attribuita ad Henry Gordon Selfridges, fondatore dell’omonima catena di grandi magazzini di Londra, anche se sembra che fosse usata, secoli prima, nel commercio di tappeti persiani a Mumbai.
Danny Mayer, proprietario e gestore della nota catena di ristoranti Union Square Hospitality Group a New York, deve il suo grande successo oltre che alla qualità anche all’abilità di far sentire a proprio agio i clienti facoltosi e famosi e far sentire “importanti” le persone comuni.
In un’intervista al Wall Street Journal, Mayer ha affermato: “Non credo che il cliente abbia sempre ragione, credo sia una buona pratica dare sempre al cliente l’opportunità di farsi sentire”. “Quando ci si dedica principalmente al proprio staff” – continua Mayer – “e si è in grado di promettergli non solo la busta paga, ma qualcosa in cui credere, allora si offrirà il miglior servizio ai clienti”.
Trattare bene i nostri clienti è sicuramente importante, rimanere “imbrigliati” in questo approccio, però, può impedirci di realizzare innovazioni importanti.
“Se avessi chiesto ai miei clienti cosa desideravano” – diceva Henry Ford all’inizio del ‘900 – “mi avrebbero risposto ‘un cavallo più veloce’, mentre io volevo vendergli un’auto”.
Anche in tempi più recenti un altro grande innovatore, Steve Jobs, sosteneva che i consumatori non sempre sanno quello che vogliono, soprattutto se non l’hanno mai visto. L’indiscusso successo dell’Iphone e dell’Ipad, che hanno rivoluzionato i “confini” di mercato, mostra che non aveva torto.
Proviamo a domandarci:
– Come posso raccogliere indicazioni preziose dai miei clienti senza rimanerne assoggettato?
– Come posso aiutarli a comprendere meglio i prodotti e i servizi innovativi che sto realizzando?
“Bisogna combattere il nemico di fronte”
Nel Mediterraneo, fin dal 500 a.C., la modalità di combattimento usuale era lo scontro “frontale” tra gli eserciti. La formazione più utilizzata era la famosa “falange macedone”, introdotta da Filippo II, padre di Alessandro Magno. Consisteva in uno schieramento, numeroso e compatto, di soldati armati di scudo e sarisse (lunghe lance di 5-7-metri) che avanzava coeso.
Visti i numerosi successi, questa formazione era considerata la più efficiente e, per alcuni secoli, praticamente invincibile.
Nel 197 a.C., però, la capacità di mettere in discussione le regole consente a Tito Quinzio Flaminino di conseguire una vittoria storica e di consolidare l’egemonia dell’Impero Romano nella penisola ellenica.
Sulle colline di Cinocefale (l’attuale Karadagh in Tessaglia), Flaminino, a capo di circa 32.400 uomini, affronta l’esercito macedone, di oltre 51.000 soldati, guidato da Filippo V. Sfruttando la maggiore flessibilità del suo esercito, Flaminino attacca i macedoni di lato mentre, a causa delle asperità del terreno, sono nella fase di passaggio dalla formazione di marcia a quella di battaglia. Scompagina, così, l’approccio con cui la falange macedone è solita fronteggiare i nemici ed ottiene una vittoria schiacciante.
Proviamo a domandarci:
– Quali sono le usuali modalità di lavoro per “combattere” i principali problemi ?
– In quali altri modi è possibile affrontare tali sfide?
“Noi siamo fatti cosi (e mangiamo solo carne)”
Gli islandesi si insediarono in Groenlandia intorno al 985 d.C. Erik Thorvaldsson, soprannominato Erik il Rosso, aveva esplorato la costa ed era rimasto affascinato dai terreni fertili, ricchi di laghi d’acqua dolce, di vegetazione rigogliosa, ecc. Nel 985, appunto, parte dall’Islanda con 25 navi (di cui solo 14 giungeranno a destinazione), per colonizzare questa nuova terra.
Negli anni successivi la colonia si espande velocemente: sorgono fattorie e villaggi in cui alcune migliaia di persone prosperano grazie all’allevamento degli animali, la loro principale fonte di sostentamento.
Le cose, però, cominciano a cambiare attorno al 1450. Il repentino abbassamento delle temperature provoca una sorta di glaciazione che sconvolge il paesaggio: i ghiacciai si estendono inglobando gran parte delle terre coltivate e rendendo impossibile per le navi commerciali raggiungere i porti.
I Vichinghi non riescono a cambiare il loro stile di vita per adattarsi alle nuove condizioni e, nonostante l’abbondanza di pesce, nel giro di pochi anni, muoiono tutti per fame.
Jared Diamond, nel libro “Collasso: come le società scelgono di morire o vivere”, indica alcuni fattori che hanno contribuito all’estinzione della colonia groenlandese: cambiamenti climatici, danni ambientali, ostilità delle popolazioni vicine (Inuit), mancanza di contatti con la madrepatria e, soprattutto, l’atteggiamento conservatore dei coloni.
Il rifiuto da parte dei Vichinghi di imparare le efficienti tecniche di caccia e di pesca degli Inuit, di introdurre il pesce nella loro alimentazione, di riorganizzare il loro modo di vivere ne ha causato la completa estinzione.
Chiediamoci:
– Quali sono i cambiamenti dello scenario attuale che riesco a cogliere?
– Quali “adattamenti” sono necessari per me, o per la mia azienda, per sopravvivere?
Impara le regole … so you can break them properly
Questi esempi possono sembrare un po’ “estremi”, ma ci aiutano a comprendere chiaramente la necessità di valutare, e di mettere in discussione, i presupposti che caratterizzano il nostro ambito lavorativo … e che tutti danno per scontati.
“Tutti sanno che una cosa è impossibile da realizzare” affermava Albert Einstein “fino a quando arriva uno sprovveduto che non lo sa e la inventa”.
Sarà più semplice, in questo modo, osservare con attenzione la realtà che ci circonda e cogliere elementi preziosi che possono condurci a risultati davvero innovativi.
Un approccio creativo, secondo la saggista Mary Lou Cook, consiste proprio “nell’inventare, sperimentare, crescere, assumersi rischi, rompere le regole, sbagliare e divertirsi”.
Circa l’essere creativo o crea-attivo ho trovato illuminante questa frase….
“Abituatevi, educate voi stessi a fare tutto ciò che fate perfettamente, con cura e precisione; che il vostro agire non abbia niente di impreciso, non fate niente senza provarvi gusto, in modo grossolano.
Ricordatevi che nell’approssimazione si può perdere tutta la vita, mentre al contrario, nel compiere con precisione e al ritmo giusto anche le cose e le questioni di secondaria importanza, si possono scoprire molti aspetti che in seguito potranno essere per voi fonte profondissima di un nuovo atto creativo.” Pavel Florenskij
Ciao Gianluca,
questa citazione è molto interessante ed evidenzia bene l’importanza di cogliere segnali “deboli”, segnali che posso essere spunti preziosi per l’ideazione creativa
Grazie!
“Fare di tutte le erbe un fascio”, per esempio lamentarsi di ogni cosa, è un ottimo modo per contrastare la creatività e sottrarsi ad ogni responsabilità personale. Come dire: “tutti i politici sono corrotti”. E quelli onesti e che si sacrificano per i beni comuni? Cioè per noi?
Non occorre nessuna competenza e nessun talento, per accorgersi delle più immediate difficoltà. Quindi lamentarsi, senza proporre soluzioni costruttive.
Al contrario – in ogni situazione, anche in quelle più difficili – è possibile scoprirne i punti di forza. In questo caso dobbiamo mettere in campo veri e propri “atti dell’ingegno”.
Sono convinto che l’abitudine alla ricerca dei lati positivi, nelle diverse situazioni che la vita ci riserva, può diventare un potente strumento per diventare creativi.
Sono anche convinto che, in Italia, siamo all’altezza di innescare – specie nei bambini e nei giovanissimi – vastissimi processi di “connotazione positiva”. Tali processi sono formidabili premesse, sia all’incremento della “felicità media di tutti”, sia allo sviluppo economico.
Ringrazio Annamaria Testa – con il sito: http://www.nuovoeutile.it – e Giovanni Lucarelli, con questo blog, per il grande lavoro che stanno facendo … anche per me 😉
Ciao Ugo,
sono d’accordo non serve alcuna competenza per lamentarsi senza proporre alcuna soluzione.
Provare a cambiare le cose, magari partendo dalle “vecchie regole”, richiede invece energia, passione e creatività!
Grazie per i complimenti (che sono orgoglioso di condividere con Annamaria) e per riconoscere la validità del lavoro che ognuno di noi svolge, con passione e creatività, ogni giorno 😉