Gli insuccessi possono diventare occasioni di crescita e di innovazione?
Le persone più brillanti e creative che ho avuto occasione di conoscere hanno diversi tratti in comune, nonostante provengano dai contesti culturali e sociali più diversi.
Sono curiose, tenaci, visionarie, coraggiose, ottimiste, quello che mi colpisce più di tutto, però, è che sembrano “immuni” agli insuccessi.
Certo, chi decide di muoversi nell’ambito dell’innovazione sceglie di lasciare i sentieri noti e di avventurarsi in territori inesplorati e questo, di per sé, qualche rischio lo comporta.
Questi personaggi, come dice Charlene Li, autrice del bestseller “Open Leadership”, sono consapevoli che le sconfitte fanno parte del gioco e, con l’esperienza, sono diventati dei “maestri nell’arte del fallimento”.
Lo so che, detto così, sembra un corso per aspiranti Jedi, ma ci sono alcuni atteggiamenti che sarebbe davvero utile imparare.
1. “È impossibile vivere senza aver fallito in qualcosa, a meno che non si viva così cautamente da non vivere per nulla, nel qual caso, il fallimento è implicito” (Joanne K. Rowling)
Sara Blakely, classe 1971, compare sulla copertina di Forbes, nel marzo del 2012, come la più giovane selfmade businesswoman miliardaria. Ex venditrice porta-a-porta di fax e stampanti (e, di tanto in tanto, cabarettista per arrotondare), Sara fonda, all’età di trent’anni, la Spanx per produrre e commercializzare un innovativo capo di biancheria intima: slip hi-tech (realizzati in nylon e spandex) di varia lunghezza.
Le spanx, che consentono di indossare pantaloni o vestiti aderenti senza inestetici segni di cuciture, grazie al passaparola vanno a ruba tra le stars del cinema e della tv e il successo è immediato. L’azienda della Blakely, che ha sede ad Atlanta, conta 125 dipendenti (di cui solo 16 sono maschi), vende oltre 200 prodotti (sia da donna sia da uomo) e ha un fatturato di oltre 150 milioni di dollari.
“Fin dai tempi della scuola – confida la Blakely in un’intervista a Business Week – papà incoraggiava me e i miei fratelli a dichiarare i nostri insuccessi: la sera, all’ora di cena, chiedeva sempre ‘Dove avete sbagliato oggi?’ e, quando non c’erano risposte, il papà si dispiaceva. Senza insuccessi, diceva, non c’è apprendimento.”
Suggerimento (“Jedi”) n. 1: domandati “Che cosa ho sbagliato, questa settimana?”, “Che cosa ho imparato da questi insuccessi?”. Annota le tue riflessioni e, soprattutto, elenca le alternative che potresti sperimentare nelle prossime occasioni.
2. “Maledetta vittoria, benedetta sconfitta” (Josefa Idem)
Frank e Dan Carney, nel 1958, gestivano una piccola pizzeria per pagarsi gli studi universitari. Dopo circa vent’anni hanno venduto Pizza Hut, una catena con oltre 3.000 punti vendita, per trecento milioni di dollari. “La lezione più importante che ho appreso – afferma Frank Carney – è che devi imparare a perdere. Ho avviato quasi cinquanta attività imprenditoriali diverse e, di queste, solo quindici hanno funzionato: ciò significa che ho una media di circa il 30%. Mi sono accorto che non impari quando stai vincendo, ma quando, dopo una sconfitta, sei capace di reagire e ripartire di nuovo.”
In effetti, quando ci capita qualcosa di negativo (perdiamo un cliente importante, un nostro progetto non va a buon fine, un evento che abbiamo organizzato si rivela un flop, ecc.), siamo portati a esaminare il nostro operato.
Queste “verifiche” sono preziose, perché ci aiutano a comprendere come, presi dal tran-tran quotidiano, non ci siamo resi conto dei cambiamenti che sono avvenuti (o che stanno avvenendo) intorno a noi.
Suggerimento (“Jedi”) n. 2: domandati “Che cosa farei, oggi, se non avessi già consolidato questo approccio (partnership, progetto, ecc.)?”; “Quali trend riesco ad intravedere nello scenario attuale?”. Prova ad osservare con occhi nuovi la realtà in cui ti muovi, a “rivoluzionare” il tuo modo di lavorare, di relazionarti con i clienti, ecc.
3. “Il caso aiuta le menti preparate” Louis Pasteur
Alexander Fleming, nel 1928, stava studiando, nel suo laboratorio di S.Martin a Londra, delle colture di Staphilococcus aureus (un batterio responsabile della formazione del pus). Un contenitore di vetro, esposto per errore all’aria, era stato ricoperto da una muffa verde e la coltura di stafilococchi era quasi scomparsa.
“That’s funny“, che cosa buffa, commenta tra sé e sé Fleming. Incuriosito, analizza la muffa e scopre che è costituita da funghi microscopici (Penicillium notatum), che, a contatto con lo stafilococco, producono un liquido battericida, che Fleming chiamerà penicillina.
Forse uno scienziato meno attento, o forse solo meno curioso, non l’avrebbe scoperto …
Nel 1968 Spencer Silver, ricercatore alla 3M, sta mettendo a punto un nuova colla particolarmente forte e resistente. Nel preparare la formula, però, sbaglia le dosi ed ottiene un adesivo molto debole, che si stacca facilmente. Il progetto viene considerato inutile ed archiviato.
Arthur Fry, collega di Silver, canta nel coro della North Presbiterian Church e ha un problema: i segnalibri che mette tra gli spartiti, per tenere il segno dei canti, cadono sempre (visto che il leggio è verticale), facendogli perdere la pazienza e la concentrazione.
Nel 1974 gli viene l’idea (sembra durante una predica noiosa) di applicare sui foglietti l’adesivo blando ideato da Silver. I foglietti adesivi “riposizionabili” di Fry vengono usati con successo non solo dal coro, ma anche dai colleghi in ufficio per prendere appunti, per attaccare le annotazioni sulle pratiche, ecc.
Solo nel 1977, viste le insistenze di Fry e colleghi, la 3M si decide a fare un test di mercato; il successo convince l’azienda a brevettare e a mettere in produzione i “Press and Peel Notes”, che, nel 1980, prenderanno il nome di Post-it® Notes.
Suggerimento (“Jedi”) n. 3: domandati “In questa situazione negativa, posso intravedere qualche elemento interessante?”, “Quali opportunità cela questo ‘imprevisto’?”.
4. “Siate come una gomma per cancellare: riconoscete i vostri errori, fatene tesoro e poi cancellateli dalla memoria” (Zig Zaglar)
Michael Jordan, uno dei più grandi giocatori di basket di tutti i tempi, ha affermato: “Nella mia vita ho sbagliato più di novemila tiri, ho perso quasi trecento partite, ventisei volte i miei compagni mi hanno affidato il tiro decisivo e io l’ho sbagliato. Ho fallito molte volte. Ed è per questo che, alla fine, ho vinto tutto.”
Ciò che ha reso grande Micheal Jordan, e che contribuisce a rendere innovative molte aziende, è proprio la capacità di “metabolizzare” l’insuccesso, di farne tesoro e di lasciarselo alle spalle.
Il fallimento, credo che ormai sia chiaro, è solo una tappa (non sempre obbligata) per arrivare al successo. Riconoscere i nostri errori, allora, è importante, perché mostra la nostra integrità e correttezza, la capacità di rielaborare l’accaduto e il desiderio di migliorare e di ripartire.
Negare l’evidenza, scaricare la colpa su qualcun altro o fare la vittima “inconsolabile” non mi sembrano, invece, delle modalità funzionali per gestire gli insuccessi.
Alla Gore, l’azienda di abbigliamento e calzature sportive creatrice del tessuto gore-tex, un progetto che non ha successo viene ugualmente festeggiato con una birra, perché sono fermamente convinti che il rischio faccia parte del gioco, che sia collegato sia al fallimento sia al successo.
Roberto Bonzio, un caro amico ideatore del progetto “Italiani di Frontiera”, mi diceva: “Se nella Silicon Valley un ragazzo avvia un’attività imprenditoriale per realizzare qualcosa di nuovo e fallisce, viene additato come uno che ci ha provato; nella maggior parte del resto del mondo, invece, viene additato come uno che ha fallito”.
Suggerimento (“Jedi”) n. 4: se vuoi costruire un ambiente lavorativo dinamico, aperto al cambiamento e all’innovazione, dedica qualche minuto, ogni settimana, per condividere e “rielaborare” serenamente gli errori delle persone che lavorano con te. “Perché si è verificato questo errore?”, “Come possiamo reagire, la prossima volta, in situazioni simili?”. Meno capri espiatori e più proposte concrete.
5. “Gli insuccessi sono inevitabili, bisogna diventare maestri nell’arte del fallimento” (Charlene Li)
“Falliremo. Spesso e volentieri, e in maniera brutale” – afferma Daniel Cook, Chief Creative Officer di Spry Fox, azienda di videogame di Seattle – “ma, auspicabilmente, sopravviveremo ogni volta. Abbiamo pianificato di sopravvivere ogni volta. È nel nostro DNA … è una visione del mondo. Se i tuoi prossimi quattro giochi saranno degli insuccessi, dove ti ritroverai? Se avrai un successo occasionale che farà ingrandire la tua società, come farà questa nuova società, rigonfia di “successo”, a gestire eventuali insuccessi multipli?”
Mi piace molto la determinazione di Cook nel reagire, nel non rimanere sopraffatti dall’insuccesso.
Non ti suggerisco, ovviamente, di andare allo sbaraglio, ma di sperimentare, quando necessario, quelli che Scott Anthony, Amministratore Delegato di Innosight, definisce “intelligent failures”.
“I fallimenti intelligenti, che avvengono in modo veloce e a basso costo, portano spesso a nuove intuizioni riguardo i vostri prodotti o i vostri clienti. Dovrebbero essere non solo tollerati ma anche incoraggiati”, sostiene Antony. “Capire come gestire questo processo (di fallimento ed apprendimento fast e low cost) che porta al successo è, probabilmente, una delle cose più importanti che le aziende devono imparare.”
Come facciamo, però, a riconoscere questi “fallimenti intelligenti”?
Amy Edmondson, nel suo articolo sull’Harvard Business Review “Strategies for Learning from Failure“, sostiene che esistono tre categorie di errori: “quelli evitabili nelle attività prevedibili, che di solito riguardano deviazioni dalle disposizioni; quelli inevitabili nei sistemi complessi, che possono derivare da combinazioni uniche di bisogni, persone e problemi, e, infine, quelli intelligenti alla frontiera, dove fallimenti “buoni” si verificano rapidamente e su una piccola scala, fornendo le informazioni più preziose”.
L’importanza dei “fallimenti intelligenti” viene ribadita, in modo un po’ provocatorio, anche dalla rivista Business Week che, nel luglio del 2006, titolava la copertina con “Eureka: we failed!”
Suggerimento (“Jedi”) n. 5: “Quali tentativi ‘fast e low cost’ posso sperimentare nel mio lavoro?”, “Come posso pianificare di ‘sopravvivere’ se questo progetto fallisse?”, “Fin dove posso spingermi per esplorare nuovi spazi di innovazione nel mio ambito lavorativo?”
6. “Il successo è l’abilità di passare da un fallimento all’altro senza perdere l’entusiasmo”. (Winston Churchill)
La Nasa, all’inizio degli anni ’50, ha il problema di isolare dell’umidità e di proteggere dalla corrosione i contatti elettrici dei razzi. Si rivolge, quindi, ai suoi fornitori chiedendo di inventare un idrorepellente (Water Displacement) capace di risolvere questo problema.
Norm Larsen, fondatore della Rocket Chemical Company, si mette all’opera con i suoi due collaboratori e comincia a sperimentare diverse formule. Ad ogni fallimento annota ciò che funziona e ciò che va cambiato, riflette, modifica, procede, nonostante decine di insuccessi, con grande attenzione e determinazione.
Dopo 39 esperimenti-fallimenti riesce, nel 1953, ad individuare, finalmente, la formula perfetta e chiama il suo prodotto WD-40. Il suo olio lubrificante risulta efficiente non solo nell’industria aerospaziale, ma anche in molti altri ambiti diventando, molto velocemente, un prodotto di successo.
“Ogni imprenditore” – confessa Richard Branson, fondatore del Virgin Group – “fallisce numerose volte prima di avere successo: la cosa più importante è continuare a rialzarsi e provare di nuovo”.
Trovo affascinante questa capacità di affrontare il fallimento come un “momento” di passaggio, come un’occasione per migliorare, per ripartire.
Nelle persone creative l’autostima non viene intaccata, la curiosità non si affievolisce, gli “insuccessi intelligenti” rappresentano davvero, come suggerisce Michael Michalko, dei portali verso la scoperta, verso nuove conoscenze, verso nuovi orizzonti.
Suggerimento (“Jedi”) n. 6: “Dove potrebbe condurmi questo insuccesso?”, “Qual è la mia visione, il mio sogno che tiene acceso il mio entusiasmo?”, “Quali nuovi orizzonti di ricerca o di sviluppo potrebbero originarsi da questo fallimento?”.
Mi auguro che queste mie riflessioni (scherzosamente “Jedi”) ti siano di aiuto nell’imparare a gestire, in modo sempre più creativo, i tuoi insuccessi. Nei momenti difficili prova a ricordare le parole di Wendell Philips, oratore americano del XIX secolo: “Che cos’è la sconfitta? Nient’altro che un insegnamento; nient’altro che il primo passo verso qualcosa di meglio”.
Io, intanto, brindo sia ai tuoi successi sia, ovviamente, ai tuoi (eventuali) insuccessi.
Pingback: Un 2015 ricco di … errori creativi – enerd.it
Pingback: toddmagazine.com