La LEGO è un’azienda florida e creativa: ha più di undicimila dipendenti e cinque parchi a tema sparsi per il mondo; ogni anno produce miliardi di pezzi, che vende in oltre 130 paesi.
Una decina di anni fa, però, era sul punto di fallire: che cosa le ha permesso di risalire la china e, nel giro di poco tempo, di tornare ad eccellere?
La sua storia, fin dall’inizio, è ricca di difficoltà, di colpi di scena e di soluzioni innovative. Ho riassunto l’affascinante avvio della Lego nel post “Ole Kirk Christiansen, il falegname creativo che ha conquistato il mondo“.
Idee buone e idee business
Negli anni ’70 l’azienda introduce le minifigures, dei personaggi con braccia orientabili in grado di reggere utensili. Queste figure umane rappresentano, probabilmente, l’innovazione più importante dopo il mattoncino originale. Negli anni ’80 vengono lanciati i treni LEGO di seconda generazione, con una vasta gamma di accessori, e le prime ambientazioni (Lego Town, Castle, Space, ecc.).
Il fatturato cresce molto velocemente e raddoppia ogni cinque anni; l’azienda procede a gonfie vele e, sull’onda dell’entusiasmo, moltiplica il numero dei pezzi (oltre 12.000 diversi) e le ambientazioni prodotte. L’associazione dei costruttori di giocattoli inglese nomina il mattoncino LEGO® come gioco del secolo, ma la crisi è dietro l’angolo.
Per favorire l’innovazione, vengono acquisiti alcuni piccoli produttori di giochi e aperte nuove sedi (New York, Milano, ecc.). Tutto questo, però, porta un turbinio (quasi ingestibile) di nuove idee. La Lego, come capita anche alle migliori aziende, fa fatica a distinguere le buone idee, che sono originali e realizzabili, dalle idee “business”, che, oltre ad essere originali e realizzabili, hanno un valore effettivo per i clienti.
Inanella, così, una serie di insuccessi, come la linea Explore, nella cui confezione ci sono solo minifigures e non mattoncini, oppure il progetto Galidor, che prevedeva personaggi d’azione, videogiochi e un programma televisivo, ma che si è risolto con un flop tale da chiudere la linea prodotto ad appena un anno dal lancio.
I ragazzi cominciano ad appassionarsi a computer e videogiochi lasciando da parte mattoncini e minifigures. La Lego prova a lanciare nuove linee ispirate a film di successo (Star Wars, Harry Potter, Bionicle, ecc.): questo porta un discreto guadagno in concomitanza con l’uscita del film ma, l’anno successivo, le vendite precipitano.
Puntare solo sulla popolarità dei blockbuster si dimostra una strategia fragile e poco redditizia. Molti dei nuovi progetti, e siamo all’inizio degli anni 2000, non sono in linea con la strategia aziendale.
Nel 2003 la Lego dichiara perdite per 188 milioni di euro, il presidente Poul Plougmann si dimette e l’azienda è sull’orlo della bancarotta.
Fare di più con meno (risorse)
Jørgen Vig Knudstorp, il nuovo amministratore delegato, ristruttura l’azienda e chiede ai dipendenti di focalizzare l’attenzione sull’idea iniziale di “sistema di gioco”. Pone, poi, un limite al numero di elementi che gli ingegneri possono utilizzare nei nuovi progetti.
“Uno dei grandi cambiamenti è stato quello di ridurre il numero di forme e colori nel proprio inventario” – ricorda David Robertson nel libro “Brick by Brick: How LEGO rewrote the rules of innovation and conquered the global toy industry” – “Si sono concentrati solo su quelle parti che potevano essere utilizzate in un sacco di gruppi differenti»
«Lego ha quindi disaccoppiato la produzione dei componenti dai set di montaggio, cosa che ha dato alla società molta più agilità. Se un set vende molto meno del previsto e un altro vende molto di più, Lego ora può spostare i pezzi assegnati ai gruppi meno di moda verso i set più popolari, e deve solo fare un paio di pezzi unici per soddisfare la domanda. Questo consente loro di rispondere più velocemente ai gusti volubili dei loro clienti principali».
Questa maggiore flessibilità rende la Lego sempre più simile alle aziende fast–fashion (Zara, H&M, ecc.) come abbiamo visto nel post “Innovazione, rapidità e moda“.
Sfruttare la passione creativa dei fan
La Lego sviluppa, in collaborazione con il Massachusetts Institute of Technology, un progetto per realizzare un kit che permetta ai bambini di assemblare e programmare un piccolo robot. Un team multidisciplinare (ingegneri, psicologi, ecc.) lavora per circa sette anni e, nel 1998, viene lanciato Mindstorms.
Il prodotto entusiasma i ragazzi di tutte le età e, nel giro di poche settimane, sono oltre mille gli appassionati che “hackerano” Mindstorms (apportando modifiche al software, ai motori, ai sistemi di controllo, ecc.).
Le reazioni di un’azienda di fronte a fenomeni di questo genere sono due: di chiusura, con battaglie legali per difendere il proprio prodotto, oppure di apertura, coinvolgendo gli hacker nel processo di miglioramento e sviluppo.
Erik Hansen, Direttore dell’Open Innovation di Lego, opta per questa seconda ipotesi: “Se, anziché fermare queste persone, le includiamo e lavoriamo con loro, il prodotto non smetterà mai di migliorare e noi, insieme con loro, non smetteremo mai di imparare”.
Ispirare i costruttori di domani
Uno degli slogan della LEGO è “To inspire and develop the builders of tomorrow“: ispirare e far crescere i costruttori di domani. Hansen aggiunge che “con l’open innovation, però, i costruttori di domani possono a loro volta ispirare e far crescere Lego.”
Ci sono molti utenti-appassionati che, come per altri prodotti, creano delle community, organizzano eventi, si scambiano consigli, ecc. LEGO, però, comprende che, per ispirare i costruttori di domani, è necessario un approccio diverso e decide di progettare un framework, uno “spazio” che possa favorire, valorizzare e supportare la creatività di queste persone.
Nel 2008 Lego attiva, in Giappone, Lego Cuusoo (che, in giapponese, significa “sperando che diventi realtà”) una piattaforma on-line in cui gli appassionati possono caricare la proposta per un nuovo prodotto (o Kit). L’idea viene votata dalla community e, se raggiunge 1.000 preferenze, Lego studia il progetto (fattibilità, posizionamento sul mercato, ecc.), apporta eventuali miglioramenti e, se non ci sono “controindicazioni”, lo mette in produzione. All’ideatore viene anche riconosciuta una royalty dell’1% sulle vendite del prodotto.
I fan apprezzano molto questa opportunità e cominciano ad inviare le loro idee: nascono così prodotti, come il sottomarino “Shinkay 6500” o il satellite “Hayabusa”, che Lego non avrebbe immaginato né creato senza l’aiuto della community.
Visto il successo, Lego, nel 2011, estende la piattaforma a livello mondiale e innalza il numero di preferenze a 10.000. Gli appassionati di tutto il mondo sono affascinati da questo nuovo strumento e, come nel caso della proposta del kit ispirato al videogioco “Minecraft”, i voti raggiungono quota 10.000 in appena 48 ore.
La Lego, con questo approccio innovativo, ottiene tre vantaggi molto importanti:
– stabilisce un contatto diretto con i clienti, grazie al quale può ascoltare ed accogliere le loro esigenze e le loro aspettative, in tempo reale e senza mediazioni né filtri;
– valorizza e stimola la creatività dei fan, li rende sempre più protagonisti, più coinvolti, più creativi (e dei potenziali “evangelist” del brand);
– comunica, in modo concreto, i propri valori dando l’immagine di un’azienda aperta, dinamica, innovativa.
Nell’aprile 2014 la piattaforma Cuusoo viene acquisita e inglobata all’interno del gruppo Lego dando vita a “Ideas Lego”.
La capacità di stimolare e favorire la passione e la creatività dei propri clienti ha contribuito, come ha evidenziato Eric Von Hippel, responsabile dell’Innovazione al MIT, a trasformare la Lego da Toy Producers a Toy Publishers.
Diventare una “macchina da innovazione”
La Lego ha compreso, negli anni, che uno degli aspetti cruciali del successo di un’azienda innovativa è proprio riuscire a modificare e migliorare le modalità con cui innova.
Per quanto concerne il contenuto, ad esempio, non è opportuno limitarsi all’innovazione di prodotto, ma è consigliabile mettere in discussione, e rinnovare, i processi, le metodologie, il modello di business, ecc.
Per ciò che riguarda le modalità di innovazione il percorso è un po’ più complesso, perché coinvolge la cultura organizzativa e la capacità del management (e di tutti i lavoratori) di essere attenti, flessibili e creativi.
L’attenzione deve essere rivolta soprattutto all’esterno, perché, come ricorda Erik Hansen: “Il ‘99% delle persone più intelligenti e capaci del mondo, non lavorano per noi”.
L’azienda danese ha scelto, così, di mettere in discussione anche i propri processi di innovazione e ha attivato un “dialogo collaborativo” non solo con i propri clienti, ma anche con una serie di realtà aziendali eccellenti, come il M.I.T, Ideo, Philips, Google, Firefox, Procter&Gamble, ecc.
In conclusione, la Lego, nata dalla creatività di un giovane falegname, è riuscita a reagire in modo positivo alle difficoltà, ad imparare dai propri errori e a modificare l’approccio all’innovazione. Questo le ha consentito di “evolversi” nel tempo fino a diventare non solo il secondo produttore di giochi al mondo, ma anche una delle realtà lavorative più dinamiche ed innovative.
Grazie serie di articoli sulla LEGO molto interessanti, a riprova di come anche e soprattutto i grandi hanno saputo superare momenti tremendi solo con il coraggio e la creatività.
saluti
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