Ho avuto occasione di ascoltare Christian Zoli a “#Blover – Cercare il bello per vincere la rivoluzione dei consumi”, un evento ricco di stimoli e di idee, organizzato dai vivaci ragazzi/e di Questagenzianonhanome.
Christian è un formatore e un game designer, che si interessa di motivazione e di divertimento. Sperimenta, in particolare, come utilizzare i processi che rendono un gioco interessante, stimolante e coinvolgente anche in altri ambiti come l’educazione, la ricerca, il marketing, l’innovazione, ecc.
Parlando di ispirazione, Christian ha esordito con una frase del comico Milton Berle: “Se l’opportunità non bussa, costruisci una porta”. Nel suo speech ha trattato, in modo divertente e interessante, diversi aspetti dell’ispirazione creativa: la “flow experience”, la zona di comfort, ecc.
Dopo il suo intervento, gustando un buon bicchiere di Verdicchio, abbiamo chiacchierato a proposito di creatività.
Christian tu svolgi un lavoro che, nell’immaginario collettivo, è uno dei più creativi e dei più ambiti: l’inventore di giochi da tavolo. Come ti è venuto in mente?
A dire la verità, almeno da un punto di vista prettamente economico, quella dell’autore di giochi non è la mia attività principale, che è invece quella di formatore. Quanto al come mi è venuto in mente, non posso dire che ci sia stato un momento in cui ho deciso di diventare autore, è stato un passaggio graduale e continuo. Faccio parte del mondo dei giochi da molti punti di vista: sono e sono sempre stato un giocatore onnivoro, ho avuto per quattro anni un negozio di giochi e gestisco, assieme ad un gruppo, una ludoteca nella mia città da ormai venti anni. Con queste premesse, pensare prima o dopo ad un mio gioco era quasi una conseguenza inevitabile!
Facendo poi giocare gli amici con alcuni miei prototipi, ho visto che piacevano e questo mi ha dato lo stimolo per continuare in quella direzione.
Come si svolge, in pratica, la vita professionale di chi, come te, inventa giochi?
Intanto, per la stragrande maggioranza degli autori, questa è quasi sempre una seconda professione, dal momento che, per tanti motivi, soprattutto legati al fatto che si tratta di un settore di nicchia, è molto difficile trarne un reddito sufficiente e costante.
Riguardo, invece, al come si svolge, innanzitutto si gioca tanto! E’ un settore in continua crescita, soprattutto negli ultimi anni, e, se si vuole esserne parte, è quasi d’obbligo seguirne i mutamenti e le evoluzioni. A parte questo, non credo ci siano molte regole. E’ una professione atipica e credo che chiunque la svolga se la sia un po’ inventata lungo la strada, adattando a mano a mano il vestito alle proprie misure.
Nel mio caso, vado molto a periodi: ci sono momenti in cui vi dedico quasi tutto il mio tempo libero (e parte delle notti!) e altri in cui lascio riposare le idee in attesa di riprenderle in mano e vedere se qualcosa è cambiato nel frattempo.
Quale, fra i giochi che hai inventato, ti ha dato più soddisfazione?
Sicuramente Wherewolf. Si tratta di una mia rivisitazione di Mafia, un classico nei giochi di gruppo. E’ un gioco di bluff, deduzione e comunicazione, quindi abbastanza diverso dai classici giochi di tattica e strategia, che di solito la gente immagina. Il vero pregio dei giochi come questo è che, a differenza di molti altri titoli, sono giochi a cui possono giocare, e divertirsi, davvero tutti. Sì, di solito anche quelli che esordiscono dicendo che a loro non piacciono i giochi!
Si gioca in tanti, l’ideale è dai dieci in su, e, ogni volta che vedo un cerchio di persone che gioca e le discussioni animate e accese che ne scaturiscono, mi ricordo del perché continuo a dedicare così tanto tempo ed energie a questo hobby/lavoro. Recentemente, mi hanno invitato a Torino per un evento in cui giocavano in sessanta contemporaneamente! Non avrei mai neanche potuto immaginare un evento simile, mentre pensavo il gioco!
Che cos’è per te la creatività?
E’ un’esigenza. Se non avessi un modo per incanalarla, me lo inventerei!
No, davvero, intendo che è proprio qualcosa che quando è un po’ che non posso mettere in atto (nel mio caso quasi sempre facendo giochi) diventa un bisogno quasi fisico. Non so, avete presente quando siete seduti da troppo ad una scrivania e avreste voglia di uscire a correre? Ecco, uguale!
Quando ancora non avevo pensato che potevo fare giochi miei, si esprimeva modificando i giochi che facevo con gli amici, tanto che, spesso, quando stavamo per iniziare una partita, qualcuno mi guardava con sguardo implorante e diceva: “Christian, per stavolta possiamo giocare con le regole normali? Eh, che dici!?”.
Quali sono i luoghi o gli orari in cui ti vengono le migliori idee?
Quanto agli orari, sicuramente la notte! Sono un animale notturno e tutti i miei giochi, ma anche molti dei miei progetti di lavoro più importanti, hanno visto diverse notti insonni di lavoro.
Quanto ai luoghi, ne ho parlato anche nel mio intervento (al #Blover), il mio “luogo preferito” è l’auto. Viaggio molto per lavoro e, durante le ore in autostrada, la mente è da un lato vigile, ma dall’altro libera di vagare e di giocare e riassemblare i mattoncini dei progetti a cui sto lavorando in modi diversi.
Nel tuo intervento hai citato Mihaly Csikszentmihalyi e alcune sue riflessioni sulla “Flow experence”: è davvero possibile creare un’esperienza di flusso?
Assolutamente sì! E non è affatto una esperienza mistica extracorporea, tutt’altro! Il Flusso è quando siamo talmente presi e appagati da quello che stiamo facendo, da non sentire il passare del tempo e talvolta da dimenticarci di mangiare! Lo abbiamo provato tutti, ognuno facendo la “propria cosa”, per qualcuno sarà stato uno sport, per altri magari la musica, per molti un gioco o un hobby, per pochi “fortunati” il lavoro.
Il problema è che ci dimentichiamo di quanto ne abbiamo bisogno. Spesso, quando pensiamo di volerci riposare, invece avremmo bisogno di momenti come questi, ma la nostra mente si confonde e interpreta male i segnali.
Henry Ford diceva: “Quando lavoriamo dobbiamo lavorare. Quando giochiamo dobbiamo giocare. Non serve a nulla cercare di mescolare le due cose. L’unico obiettivo deve essere quello di svolgere il lavoro e di essere pagati per averlo svolto. Quando il lavoro è finito, allora può venire il gioco, non prima.” Che ne pensi?
Se è per questo, Frederick Winslow Taylor, una delle persone che maggiormente ha contribuito a definire il rapporto datore di lavoro-lavoratore alla fine del 1800, diceva: «Difficilmente si potrà trovare un lavoratore che non dedichi una considerevole quantità di tempo a studiare quanto lentamente possa lavorare, convincendo il suo datore di andare ad un buon ritmo».
Penso che stiamo ancora pagando le conseguenze di più di un secolo di questa mentalità.
Il pensiero di Ford è in buona parte anche figlio del suo tempo e di quel mondo e, per fortuna, non siamo più negli anni della rivoluzione industriale. Il vero problema è che siamo così abituati a pensare che questo sia l’unico approccio possibile che ci dimentichiamo che ce ne possono anche essere altri. Finché continuiamo sotto sotto a credere che il lavoro sia qualcosa che ci fa schifo e che lo facciamo solo perché siamo pagati, non ne usciremo mai. Se non cambiamo prima modello di pensiero, ogni azione, anche volta al miglioramento, sarà sempre inutile: non è facendo “più” delle cose sbagliate che ci si avvicina ad una soluzione.
Qual è la (reale) utilità della Gamification e in quali ambiti si può applicare?
Premetto che Gamification è una parola che oggi cerco di usare molto poco. Le ragioni sono complesse da spiegare in una risposta breve. Diciamo che chi non la conosce non sta capendo, e anche chi la conosce spesso ne ha probabilmente una idea diversa da quella che io intenderei. Per rispondere alla tua domanda, la Gamification è uno strumento: consiste nell’utilizzare un approccio e degli elementi presi dal mondo del gioco in contesti che ne sono estranei. La sua utilità consiste nell’attingere e attivare la nostra parte più interessata, coinvolta, stimolata e positiva. Se è fatta con cognizione di causa, si può applicare a qualsiasi ambito, dal lavoro al marketing, dall’educazione ai progetti sociali. Purtroppo, troppo spesso, vengono usati solo elementi presi dal gioco, senza una reale comprensione dei processi motivazionali che stanno alla base.
Quali sono, nella tua esperienza, i principali ostacoli alla creatività e all’innovazione?
La disabitudine. Sempre per citare Picasso: “Ogni bambino nasce artista. Il problema è poi come rimanerlo quando si cresce”.
Allo stesso modo, siamo stati tutti creatori di giochi: lo eravamo da bambini tutte le volte che dicevamo “Giochiamo che …”.
Il problema, come dice Daniel Pink, sostenitore della Teoria dell’Autodeterminazione, è che è sbagliato il sistema operativo alla base della nostra società, che ci porta a vedere il lavoro come qualcosa che “dobbiamo” fare. Non c’è niente di peggio per spegnere definitivamente la creatività che sentirsi obbligati a fare quello che si sta facendo.
Quali accorgimenti suggerisci per “sbloccare” la creatività nei gruppi o, più in generale, nei luoghi di lavoro?
Questa è una risposta troppo lunga per un’intervista. Anche perché in questo consiste buona parte del mio lavoro, quindi, se dicessi tutto qui, perderei troppi potenziali clienti! 😉
Sto scherzando. Diciamo che risponderò con una frase che uso spesso. Un buon modo è quello di applicare agli ambienti di lavoro le stesse regole che sono alla base del game-design di un buon gioco. Fra le altre cose: ridefinire continuamente sfide bilanciate, mantenere chiari gli obiettivi, dare feedback costanti e definire un buon approccio all’errore.
Esatto: l’opposto di quello che accade quasi ovunque!
Quali consigli daresti ad un ragazzo/a per realizzarsi nel mondo del lavoro?
A questa domanda mi è subito venuto in mente un filmato che ho usato spesso nei miei corsi. E’ una pubblicità davvero ben riuscita di una agenzia per il lavoro spagnola. Ma raccontato non rende, devi dargli un’occhiata: https://www.youtube.com/watch?v=6p8uQauo458
Può sembrare una frase fatta, ma non lo è affatto: ci sono più lavori possibili di quelli che ci fanno vedere, anche se per alcuni di essi non ci sono percorsi precisi e definiti. Se prendo me come esempio, né l’autore di giochi né il formatore erano fra le possibilità che vedevo all’inizio.
E quando troviamo qualcosa che ci appassiona davvero non è mai facile, ma ne vale sempre la pena.