Un 2016 all’insegna dell’innovazione: intervista ad Alessandro Rimassa

Innovazione Alessandro Rimassa

Desidero che questo 2016 sia per me (e se vuoi anche per te) all’insegna del cambiamento e dell’innovazione.

Alessandro è un tipo curioso, acuto, appassionato, è fondatore e Direttore della TAG Innovation School, la scuola dell’innovazione e del digitale. Nel suo ultimo libro, “La repubblica degli innovatori”, ha raccolto ottantacinque storie di giovani italiani che, nonostante le “condizioni difficili” del nostro Paese, hanno avviato attività imprenditoriali di successo.

Giorgio Poeta, ad esempio, laureato in Agraria, che ha inventato il miele in Barrique a Fabriano (AN), o Daniele Pelleri e Luigi Giglio, studenti di Ingegneria al Politecnico di Torino, che hanno creatoAppsbuilder un software che consente di sviluppare, facilmente, app per il mercato mobile, oppure Luciano Belviso, ingegnere aeronautico che, insieme ad Angelo Petrosillo, ha dato vita (grazie a fondi per l’imprenditoria giovanile) ad un’impresa che costruisce aerei in fibra di carbonio a Monopoli.

Ho avuto occasione di incontrare Alessandro Rimassa al “Forum delle Eccellenze 2015” (organizzato da Performance Strategies); abbiamo pranzato insieme e scambiato qualche idea su creatività, innovazione e futuro.

Alessandro, come è possibile, secondo la tua esperienza, aiutare una persona a diventare più creativa?

La creatività, secondo me, è una questione di osservazione: è la capacità di osservare con attenzione e di trasformare quell’osservazione in qualcosa di nostro. È trovare un modo nuovo per osservare la realtà e liberare il pensiero.

La creatività ce l’abbiamo dentro tutti, normalmente abbiamo paura di esprimerla e, quindi, paura di metterci in gioco; perché quando diventi creativo scopri un sacco di cose su di te, prima che sul lavoro che farai. Da questo punto di vista, non credo che ci sia una regola o un framework per gestire la creatività. Ci deve essere una naturale propensione alla curiosità: se non siamo curiosi, non saremo mai creativi, e ci vuole la voglia di mettersi in gioco e di ripensare, in maniera sempre diversa, ciò che facciamo.

In un gruppo di lavoro, però, le cose si complicano un po’: ci sono altre persone con cui interagire, con cui confrontarsi …

L’errore principale da evitare, in un gruppo di lavoro, è non ascoltare. In un briefing di lavoro, di solito, c’è qualcuno che parla, parla, parla, e gli altri pensano solo al proprio intervento (o si fanno i fatti propri). Il punto principale, invece, è che, se presti attenzione, capisci cosa sta dicendo l’altro, capisci come poter interagire … questo vuol dire essere empatici. L’empatia non si impara a scuola, non si compra al supermercato, si sperimenta in gruppo grazie all’interesse ad ascoltare. Se sei autoriferito, non te ne frega niente di ascoltare gli altri; secondo me, oggi, essere autoriferiti non ti porta troppo lontano …

Poi esistono duemila tecniche di brainstorming, di gestione del gruppo, di utilizzo di Canvas, va bene tutto, sono degli strumenti, ma se non c’è ascolto autentico, non c’è strumento che funzioni.

Quali sono, nella tua esperienza, i maggiori ostacoli per realizzare l’innovazione nelle organizzazioni?

Il primo è che nessuno ha voglia di cambiare, perché far le cose come le facevi ieri è molto più semplice, torni e automatizzi tutto, non devi per forza connettere il cervello, continui come hai sempre fatto.

Le organizzazioni, poi, non cambiano anche perché non c’è propensione al rischio, e perché quelle più grandi sono costruite per premiare il Top Management nel breve periodo. Se tu mi premi a breve, a me di innovare non me ne frega niente: cerco solo di massimizzare il profitto e, per massimizzare il profitto, la prima cosa da fare è tagliare i costi, mentre per avere un profitto alto nel lungo periodo devo alzare i costi per investire.

Per innovare, invece, servono propensione al rischio, prospettiva, curiosità, una strutturazione degli obiettivi fatta in maniera differente.

Nell’esperienza che ho avuto da manager, sostanzialmente, non potevo mai innovare; quando l’ho fatto, è stata una scelta che ho fatto perché ne avevo un profondo desiderio. La maggior parte dei manager sono giudicati sull’anno, e ognuno deve pensare alla famiglia, a quello che può portarsi a casa oggi; allora il manager-tipo taglia quattro costi, sposta una passività all’anno successivo, raggiunge l’obiettivo e prende il bonus. Poi però le aziende… puff!: svaniscono …

Nel tuo speech hai parlato dell’importanza di essere pronti a fallire: come si fa ad allenarsi a questa propensione?

Giocando. Devi sapere che puoi sbagliare, non devi avere paura di sbagliare. In Finlandia c’è la giornata nazionale del fallimento, negli Stati Uniti ci sono numerose conferenze sul fallimento che aiutano a comprendere che devi aver voglia di giocare e di rischiare, perché, se non giochi la partita, fallisci sicuramente.

Nel tuo ultimo libro “La repubblica degli innovatori” hai raccolto tante storie di innovazione: quali sono aspetti che ti hanno colpito di più?

La voglia di fare impresa: è possibile farla in Italia, oggi ci sono davvero tante opportunità, e quando incontri persone che stanno rischiando tutto, che non hanno paura, che giocano proprio un’altra partita, in altri campionati … ti domandi: “Perché io devo ancora stare in questo campionato vecchio, stantio, faticoso? Voglio andare a giocare anch’io lì!”

Per due anni, 2011 e 2012, ho fatto un programma su Sky in cui raccontavo questo tipo di storie che si intitolava “Generazione S”, e, alla fine, ho cambiato lavoro. Avevo l’unico contratto di lavoro a tempo indeterminato della mia vita e sono andato via; mi ricordo mia madre che mi diceva: “Ma dove vai?”. Ma quando vedi tutti questi che stanno facendo delle cose incredibili … come puoi resistere?

Poi ho cominciato a fare le ricerche per questo libro, continuavo a sentire storie affascinanti e mi sono detto: “Sai che c’è? Smetto di fare il manager e vado a fare l’imprenditore: vediamo cosa succede”.

Non so se andrà bene, la parte di scuola Talent Garden l’abbiamo aperta otto mesi fa, non so come saremo tra due anni, se saremo vivi o morti; però mi sveglio la mattina con la voglia di fare, non sono preoccupato, o, meglio, sento la responsabilità delle persone che ho assunto, ma sono consapevole che stiamo giocando una partita su altri campi. In Italia fanno tutti il Master in Digital Marketing, noi facciamo quello di Growth Hacking: è una cosa diversa, che esiste solo negli Stai Uniti, proviamo a portarlo in Italia, vediamo. Se funziona, bene, se non funziona, abbiamo sbagliato e faremo qualcos’altro.

Grazie Alessandro, per la tua disponibilità e per la passione e l’energia che metti nei tuoi progetti.

Nella dedica alla “Repubblica degli innovatori” Alessandro mi ha scritto: “Il futuro è di chi lo crea …”. Mi sembra un ottimo augurio per il 2016!

 

[Articolo pubblicato, originariamente, su Wired.it]

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